Certosa di san Martino, largo san Martino 5
• La Certosa voluta da Carlo Duca di Calabria primogenito di Roberto d’Angiò fu iniziata nel 1325 e completata nel 1368 sotto Giovanna I.
• Del gotico originario resta poco perché la Certosa venne completamente trasformata tra fine ‘500 e inizio ‘600 da G.A.Dosio e da G.G.Conforto e infine soprattutto da Cosimo Fanzago che dette la sua impronta a tutto il complesso e fu autore di gran parte dell’apparato plastico della chiesa. Al Fanzago subentrarono nel Settecento Niccolò Tagliacozzi Canale e D.A. Vaccaro che operarono soprattutto alla decorazione della chiesa.
• La chiesa rappresenta il capolavoro del barocco napoletano anche per il contributo dei migliori pittori dell’epoca : Stanzione , Reni, B. Caracciolo, Preti, Corenzio, Giordano, Ribera, Solimena, Lanfranco.
• Dal 1866 la Certosa è diventata Museo Nazionale e conserva importanti cimeli e collezioni del Regno di Napoli.
• Dai giardini si gode uno dei più bei panorami di Napoli.
CHIESA
Facciata e pronao
La facciata della chiesa trecentesca fu rimaneggiata prima sul finire del Cinquecento dal Dosio, che riadattò il pronao da cinque a tre arcate ricavandone due cappelle nella controfacciata della chiesa, quella del Rosario e di San Giuseppe, e poi successivamente da Cosimo Fanzago che costruì nella prima metà del Seicento una serliana per mascherare la facciata precedente; la parte superiore e le pareti laterali sono invece opera di Nicola Tagliacozzi Canale.
Le pareti del pronao sono caratterizzate dagli affreschi del Cavalier d’Arpino, di Micco Spadaro, Giovanni Baglione e Belisario Corenzio. Al primo sono attribuiti i due angeli reggenti lo stemma CART posti sopra il busto di papa Pio V, , mentre invece nella stessa parete frontale sono ritratte in quattro grandi riquadri le scene di Carlo duca di Calabria che offre la chiesa al vescovo San Martino, mentre del Corenzio sono gli altri due riquadri a destra del portale con La regina Giovanna I che offre la custodia della chiesa a san Bruno in alto e Il sogno di sant’Ugo che indica il luogo di Cartusia in basso, entrambe datate ancora 1632.
Navata
La chiesa si compone di una navata unica con otto cappelle laterali. Le esecuzioni marmoree e plastiche interne sono frutto prevalentemente dell’opera di Cosimo Fanzago, che fu chiamato a ristrutturare la certosa dal 1623 al 1656, occupandosi in questa circostanza anche di rifare la facciata esterna della chiesa.
Il pavimento marmoreo della navata è un progetto del Fanzago ma fu realizzato da Bonaventura Presti nel 1664-1665 in preziosi marmi policromi, costituendo un grande esempio dell’arte dell’intaglio e della commissione dei marmi; si tratta di una soluzione decorativa che produce un’apparente tridimensionalità e uno straordinario impatto visivo per chi visita la chiesa.
La volta della navata è arricchita da uno ciclo pittorico che maschera le strutture a crociera della copertura; gli affreschi furono compiuti tra il 1636 e il 1639 e costituiscono uno dei più importanti e preziosi lavori del pittore emiliano Giovanni Lanfranco, il quale intese riprendere le scene dell’Ascensione di Cristo con angeli e beati e Apostoli negli spicchi laterali dei finestroni.
Le cappelle laterali della navata sono otto, quattro per lato, due delle quali aggiunte nel corso del Seicento agli angoli estremi della controfacciata, comunicanti con le prime di destra e di sinistra. Le transenne di tutte le cappelle così come la decorazione marmorea di quelle di San Bruno e di San Giovanni Battista sono infine ancora del Fanzago, a cui si devono anche i festoni di frutta sui pilastri e quattro putti marmorei sulle arcate di accesso alle cappelle, dove sono collocate inoltre una serie di dodici tele con Profeti e patriarchi di Jusepe de Ribera.
Controfacciata
Nella controfacciata, ai lati del portale d’ingresso, sono due statue del Fanzago, che tuttavia furono terminate da Alessandro Rondone, e sempre nei pressi del portale sono collocate entro due cornici marmoree ancora del Fanzago le tele raffiguranti Mosè ed Elia del Ribera; sopra il portale principale è infine una Pietà di Massimo Stanzione del 1638.
Prima cappella a sinistra (san Giuseppe)
Decorata da Domenico Antonio Vaccaro, che eseguì per l’ambiente anche gli stucchi dorati che la caratterizzano, e da tele di Paolo De Matteis datate 1718 circa.
Seconda cappella a sinistra (san Bruno)
Le decorazioni marmoree datate 1631-1636 sono del Fanzago e i dipinti che decorano le pareti sono di Massimo Stanzione e datati 1633-1637: San Bruno dà la regola ai suoi seguaci, il Conte Ruggiero davanti a San Bruno e l’Apparizione della Vergine e di san Pietro ai certosini di Grenoble; allo stesso pittore napoletano si devono inoltre gli affreschi della volta con San Bruno portato in cielo dagli angeli, l’Assedio di Capua da parte del conte Ruggiero e la Guarigione dei malati alla fonte miracolosa.
Terza cappella a sinistra (dell’Assunta)
Presenta una decorazione seicentesca completata nel Settecento da Nicola Tagliacozzi Canale; sull’altare e alle pareti sono dipinti di Francesco De Mura con l’Annunciazione, l’Assunta e la Visitazione.
Nella volta e nelle lunette sono collocati affreschi del 1626 circa con Storie di Maria di Battistello Caracciolo; le sculture della Verginità e della Ricompensa così come i due putti all’altare sono invece di Giuseppe Sanmartino e datati 1757.
Prima cappella a destra (del Rosario)
Una porta a destra dalla cappella di S.Ugo conduce alla cappella del Rosario, decorata negli stucchi, nell’esecuzione del pavimento e nelle tre tele alle pareti (frontale e laterali) da Domenico Antonio Vaccaro, mentre è del Caracciolo il dipinto sulla controfacciata sui Santi Gennaro, Martino e altri, proveniente dalla cappella di San Gennaro della stessa chiesa.
Terza cappella a destra (di San Martino)
La decorazione marmorea del primo quarto del Seicento di Nicola Botti e Salvatore Ferraro fu ristrutturata da Nicola Tagliacozzi Canale e dal Sanmartino nella metà del Settecento. La cappella è arricchita ai lati dell’altare con le sculture raffiguranti il Putto reggicandelabro, la Fortezza e la Carità di Giuseppe Sanmartino datati 1757; affreschi del 1631 sono di Paolo Finoglio e raffigurano le Storie della vita di san Martino, i Funerali del santo e il Santo che appare all’imperatore Valentiniano, mentre le due tele laterali sono opera di Francesco Solimena del 1732 circa, con il Cristo che appare in sogno a san Martino e San Martino che divide il mantello con il povero, e quella nella parete frontale è invece del Caracciolo con San Martino e angeli del 1625.
Presbiterio
Il presbiterio è preceduto prima dell’altare maggiore da una sontuosa balaustra in marmi, pietre dure e bronzo dorato eseguita da Filippo Belliazzi nel 1761 su disegni di Nicola Tagliacozzi Canale e del Sanmartino.
L’abside, profonda e rettangolare con pavimento marmoreo del Fanzago stilisticamente in linea con quello della navata, ospita un grandioso coro ligneo dei monaci, datato 1629 ed eseguito da Orazio De Orio, e un altare maggiore in legno dorato e finto marmo eseguito su progetto di Francesco Solimena, compiuto per fungere da modello di un originale che avrebbe dovuto comporsi di marmo vero ma che però tuttavia non fu mai eseguito e per questo il modello venne utilizzato sin dalla sua esecuzione, avvenuta intorno al 1705, come altare della chiesa. I putti che decorano i lati del paliotto sono di inizio Settecento ed opera di Giacomo Colombo, mentre gli angeli capoaltare sono di Giuseppe Sanmartino e datati 1768.
Gli affreschi della volta con le Storie del Vecchio e Nuovo Testamento con evangelisti, dottori della chiesa, profeti e santi certosini sono del Cavalier d’Arpino e del fratello Bernardino Cesari, compiuti tra il 1591 e il 1596, mentre di Giovanni Lanfranco è la Crocifissione nella lunetta frontale, eseguita tra il 1638 e il 1640.
Lungo le pareti laterali sono collocate cinque tele di grandi dimensioni, di cui quella sulla parete centrale, raffigurante la Natività, opera di Guido Reni del 1642. Nella parete destra sono le tele raffiguranti la Pasqua degli ebrei (1639) di Massimo Stanzione e l’Ultima cena (1589) di Carletto Caliari (bottega di Paolo Veronese); in quella di sinistra invece sono la Comunione degli apostoli (1651) di Jusepe de Ribera e la Lavanda dei piedi (1622) di Battistello Caracciolo.
Sala del Capitolo
Dalla porta nella parete destra della zona absidale della chiesa, si raggiunge la sala del Capitolo, dove sono presenti affreschi di Belisario Corenzio sulla volta con le Parabole evangeliche e le Virtù certosine datate 1624 e, nel lunettone della controfacciata, con il Cristo e l’adultera.
Lungo le pareti laterali dell’ambiente, intervallate alle finestre, sono invece una serie di dipinti: una concitata scena della Circoncisione di Paolo Finoglio del 1626, una Visione di san Bruno del 1625 circa di Simon Vouet, un’Adorazione dei Magi di Battistello Caracciolo del 1626 e infine un’Adorazione dei Pastori di Massimo Stanzione e ancora del 1626.
Sopra la porta d’ingresso è la tela della Disputa di Gesù nel Tempio, datata 1739 e opera di Francesco De Mura, mentre ai pilastri angolari della parete frontale sono raffigurati il San Giovanni Battista e il San Martino Vescovo, datati 1623 circa e opera ancora del Caracciolo.
Di nuovo al Finoglio si devono invece le pregevoli raffigurazioni nelle lunette delle pareti laterali dei Dieci grandi fondatori degli ordini religiosi, che hanno il fine di tracciare una sorta di storia del monachesimo, tutti databili al 1625-1626. In senso orario sono raffigurati, da sinistra: San Domenico, iniziatore dell’ordine domenicano, San Bernardo, animatore dei cistercensi, San Bruno, colui che riunì a Chartreuse il primo nucleo di certosini, Sant’Agostino, fondatore dell’ordine agostiniano, il profeta Elia, a cui si ispirarono i carmelitani, San Benedetto, fondatore dei benedettini e padre del monachesimo occidentale, San Basilio, padre di quello orientale e fondatore della regola basiliana, San Romualdo, da cui ebbero origine i camaldesi, San Francesco di Paola, che creò l’ordine dei frati minimi, e infine San Francesco d’Assisi, fondatore di quello francescano.
Coro dei Conversi
Presenta nella parte inferiore, lungo le pareti, 26 stalli lignei del 1520 eseguiti da Giovanni Francesco d’Arezzo e da Maestro Prospero che presentano negli intarsi le raffigurazioni dei santi Ugo, Giovanni Battista, Bruno e Girolamo, Prospettive paesaggistiche, nelle quali è ritratto l’originario aspetto gotico della Certosa, e Nature morte.
Sagrestia
Sul lato sinistro della zona absidale della chiesa, una porta conduce alla sacrestia, decorata nella volta con affreschi datati 1596-1597 del Cavalier d’Arpino con le Storie della Passione di Cristo, Virtù, Putti con simboli della Passione, Storie del Vecchio Testamento, Allegorie di virtù e Personaggi delle Sacre Scritture. Nel registro inferiore della sala sono collocati alle pareti arredi mobiliari intarsiati di fine Cinquecento, i cui intagliatori furono Nunzio Ferraro, Giovan Battista Vigilante, mentre gli intarsi appartengono ai fiamminghi Enrico di Utrecht, Lorenzo Ducha e Teodoro de Vogel che eseguirono le rappresentazioni di Storie delle Sacre Scritture e dell’Apocalisse.
Cappella del Tesoro Nuovo
La cappella del Tesoro Nuovo è invece frutto della volontà del monaco Fra’ Bonaventura Presti a cui si deve il progetto della nuova sala che avrebbe ospitato il tesoro che oramai non trovava più spazio di collocazione nella più piccola cappella vecchia.
La scodella centrale della volta è affrescata da Luca Giordano nel 1704 circa con il Trionfo di Giuditta mentre ai quattro lati con eroine del Vecchio Testamento: Termutide, Debora, Seile e Giaele.
Sempre del Giordano sono inoltre gli affreschi nel catino absidale, dove è l’Adorazione del serpente di bronzo, e quelli delle cinque lunette laterali con la Caduta della Manna e Mosè che divide le acque in quella di destra, la Fornace di Nabucodonosor e Abramo e Isacco che salgono il Monte in quella di sinistra, e il Sacrificio di Aronne nella controfacciata.
Al pittore napoletano si devono infine anche le figure allegoriche e i putti nei sottarchi, che completano così il ciclo che di fatto è l’ultimo lavoro documentato del Giordano.
Decorano poi la cappella nelle fasce inferiori delle pareti laterali, arredi mobiliari nei quali era conservato il tesoro della certosa, poi fuso sul finire del Settecento da re Ferdinando IV per poter disporre di fondi utili a sostenere le spese derivanti dalla guerra contro i francesi per la difesa della città.
La parete frontale è invece caratterizzata da un altare del 1610 del fiorentino Giovanni Selino sopra il quale è la celebre pala della Pietà di Jusepe de Ribera, datata 1637.
Refettorio
l refettorio appartiene alle aggiunte settecentesche che hanno interessato il complesso certosino e veniva utilizzato dai monaci come luogo di aggregazione in occasioni di feste religiose, interrompendo così il loro status di “isolati”. L’architettura del vasto ambiente si deve a Nicola Tagliacozzi Canale, che nel 1724 completò la sua edificazione. Nella parete di fondo è collocata la grande tela di Nicola Malinconico raffigurante Le nozze di Cana (1724).
Chiostro Grande
Il chiostro grande posto su una piattaforma artificiale per questioni di livello, fu progettato anch’esso dal Dosio su un preesistente chiostro trecentesco; i lavori di completamento però furono poi eseguiti successivamente da Cosimo Fanzago.
L’architetto bergamasco realizzò le mezze lesene agli angoli dell’ambulacro, portali agli angoli dell’ambulacro cinque dei sette busti sopra le porte angolari che caratterizzano le pareti e la balaustra barocca del cimiterino trecentesco dei monaci, decorata con teschi ed ossa.
L’ordine superiore del chiostro è caratterizzato da otto sculture: il San Paolo e il San Giovanni Battista di Giovan Battista Caccini, entrambe del 1593, il Cristo risorto di Michelangelo Naccherino, la Vergine di Giovan Battista Perasco e il San Pietro, San Bruno, San Martino e la Maddalena, tutte del Fanzago. Al centro dello spazio, infine, è presente un falso pozzo in marmo scolpito dal Dosio nel 1578.
Chiostro dei Procuratori
l chiostro dei procuratori fu disegnato dopo il 1590 da Giovanni Antonio Dosio, che intese eseguire uno spazio scandito dalla successione delle arcate che vedono l’alternanza del marmo bianco al piperno, pietra grigia di origine vesuviana. Al centro è presente un pozzo anch’esso in piperno opera di Felice De Felice collocabile tra il 1605 e il 1608.
Alle pareti del chiostro sono invece collocate epigrafi storiche, sculture e stemmi rappresentativi dei quartieri della città, portati in certosa durante il periodo del Risanamento di Napoli, quando questi furono asportati dalle strade.
Quarto del Priore
Il quarto del Priore era lo spazio tipico in un complesso certosino destinato alla dimora del priore.
La maggior parte delle sale del quarto sono state inglobate nel Museo.
La loggia che caratterizza un angolo del quarto del Priore è infine quella che offre la vista sull’intero golfo di Napoli nonché sulla pregevole scala a calicò che mette in comunicazione il quarto con i sottostanti giardini.
Fonti utilizzate:
Napoli Atlante della città storica – Centro Antico di Italo Ferraro Napoli 2002, Guida Sacra della città di Napoli di Gennaro Aspreno Galante Napoli 1872, Wikipedia; Touring Club Italiano.