chiesa e monastero di San Gregorio Armeno, via San Gregorio Armeno
Cenni storici
Il complesso sorge sul sito del tempio romano di Cerere.
Nel 726 un gruppo di monache greche fuggendo da Costantinopoli a seguito delle persecuzioni da parte degli Iconoclasti fonda un primo nucleo del monastero per accogliere le reliquie di San Gregorio Armeno, primo patriarca di Armenia.
Nel 754 il Duca e vescovo di Napoli Stefano fonda dall’altro lato della strada il monastero di San Pantaleone.
Nell’853 le quattro chiese presenti nell’insula dedicate a San Gregorio, San Pantaleone, San Sebastiano e San Salvatore vengono unificate dal Duca Sergio IV in un’unica chiesa consacrata a San Gregorio Maggiore, chiesa che però nasce interna al monastero e non coincide con quella attuale.
Nel 1009 il monastero di San Pantaleone viene collegato a quello di San Gregorio mediante un cavalcavia.
Nel 1443 il re Alfonso d’Aragona incorona in tale chiesa il figlio Ferdinando a Duca di Calabria e quindi erede al trono.
Il terremoto del 1561 provocò gravi danni al monastero e d’altra parte il Concilio di Trento imponeva di aprire la chiesa verso l’esterno e di trasformare il complesso in monastero di clausura. Su impulso e finanziamento da parte di donna Lucrezia Caracciolo si avviò la completa ricostruzione del complesso.
Il monastero tra il 1572 e il 1577 per opera di Vincenzo Della Monica con ampliamento del chiostro fino al 1647 per opera di Bartolomeo Picchiatti. La chiesa fu costruita tra il 1574 e il 1580 su progetto e realizzazione dell’architetto G. Battista Cavagna .
Con l’avvento di Gioacchino Murat agli inizi dell’Ottocento il monastero rientrò in un primo momento nell’elenco di quelli da sopprimere; con decreto del 1808 tuttavia gli fu concesso di continuare ad esistere probabilmente anche grazie al fatto che questo era uno dei più ricchi della città. In questa fase furono portate in chiesa le reliquie di santi che erano fino ad allora in altri conventi poi soppressi, come quelle nella chiesa dei Santi Marcellino e Festo o come quelle custodite in Santa Maria Donnaromita, andandosi così ad aggiungere a quelle di San Giovanni Battista portate in struttura già nel 1577 dalla chiesa di Sant’Arcangelo a Baiano.
Dal 1864, dopo l’Unità d’Italia, furono traslate in chiesa anche le spoglie di Santa Patrizia, provenienti dalla chiesa dei Santi Nicandro e Marciano; da quel momento in San Gregorio Armeno si svolge il rito dello scioglimento del sangue della santa (procedura simile a quella di san Gennaro nel duomo) e così, a suggello della devozione dei napoletani per la Vergine, la chiesa è conosciuta volgarmente anche con l’intitolazione alla santa di Costantinopoli.
La chiesa
Facciata e atrio
La semplice facciata presenta tre archi a tutto sesto che con quattro pilastri centrali forma un portico profondo che fa da pronao alla navata ed è coperto da nove vele; di qui attraverso una porta lignea cinquecentesca che rappresenta san Lorenzo e santo Stefano si accede alla navata della chiesa.
Soffitto ligneo
Il soffitto presenta una monumentale decorazione a cassettoni e fu realizzato tra il 1580 e il 1584 su commissione della badessa del monastero Beatrice Carafa. I pittori fiamminghi Teodoro d’Errico e Cornelis Smet con le loro botteghe realizzarono intorno al 1580 le tavole che raffigurano negli ovali laterali la vita di santi benedettini, mentre nei quattro grandi ovali centrali, partendo dal più prossimo al presbiterio e fino all’ingresso in chiesa sono le scene della Decollazione di Giovanni Battista, San Gregorio che benedice la corte di Tiridate e San Benedetto tra i santi Mauro e Placido, nella volta della navata, e l’Incoronazione della Vergine in quella che ricade sopra il coro delle monache; Giovanni Andrea Magliulo con altri artigiani napoletani eseguirono invece le sculture, gli intagli e le dorature.
Il suo completamento avvenne in due fasi: agli inizi del Seicento, con la realizzazione della parte soprastante il coro delle monache, e poi intorno al 1745 con interventi di restauro guidati da Nicola Tagliacozzi Canale, il quale per l’occasione progettò anche diverse modifiche estetiche che rispettassero maggiormente il gusto rococò in voga all’epoca e che hanno dato alla volta l’aspetto attuale.
Navata
L’interno della chiesa fu trasformato nella seconda parte del Seicento da Dionisio Lazzari e nel Settecento , come si è visto, anche da Niccolò Tagliacozzi Canale che aggiunse fastose decorazioni plastiche di gusto rococò:
-gelosie intagliate dei coretti
-cantorie degli organi in legno e cartapesta
-balaustre delle prime cappelle da ambo i lati
-gli stucchi
Presbiterio
- altare maggiore in marmi commessi su disegno di Dionisio Lazzari, ,
- pala d’altare con l’Ascensione, opera cinquecentesca di Giovan Bernardo Lama,
- cupola affrescata da Luca Giordano col trionfo di san Gregorio
- a sinistra tavola di Simonelli (1699) con Mosè che fa scaturire l’acqua dalla rupe
- a destra comunichino con bellissima grata in ottone di D.Vinaccia sormontata da Gloria dei putti dello stesso Simonelli.
Controfacciata
Affreschi di Luca Giordano (1684) che rappresentano scene della traslazione a Napoli delle spoglie di san Gregorio da parte delle monache basiliane di Costantinopoli.
Cappella di san Gregorio Armeno
Terza a destra, ospita le reliquie del santo, patriarca e fondatore del cristianesimo in Armenia, raffigurato nella pala d’altare di Francesco Di Maria. Sulle due pareti laterali tele di Francesco Fracanzano con scene della vita del santo.
Cappella di santa Patrizia
Quinta a destra ospita le spoglie della santa di origine bizantina ma morta a Napoli e molto venerata.
Il monastero
L’accesso
Costituito da un ampio scalone con pareti affrescate da Giacomo Del Po, che culminano al di sopra del portone di ingresso con il San benedetto tra gli angeli. Le porte a destra dello scalone introducevano alle “grate” della badessa, delle converse e delle suore. Al termine delle scale si trovano sedili di piperno e ai lati del portone due “ruote” per il passaggio di cibi e altri oggetti dal mondo esterno al monastero. Attraversato il portone ci si immette in una vestibolo con affreschi di paesaggi alle pareti.
Il chiostro
Il chiostro monumentale attribuito a Vincenzo Della Monica con annesso giardino è tra i più belli della città e su esso affacciano gli alloggi delle monache con un doppio ordine di terrazze, più profonde quelle che poggiano sulle arcate e più strette quelle superiori rette da mensole a voltine. Il bellissimo gruppo marmoreo raffigurante Cristo con la Samaritana al pozzo è opera di Matteo Bottiglieri (1783). Dal chiostro è visibile la bellissima cupola maiolicata della chiesa.
Il coro delle monache
Vi si accede dal chiostro e si trova al di sopra dell’atrio della chiesa; ha stalli lignei del Cinquecento e alle pareti affreschi seicenteschi di Luca Giordano sulla vita di san Benedetto e san Girolamo. Il parapetto che affaccia sulla navata è sovrastato da una gelosia settecentesca.
Il salotto della badessa
L’aspetto attuale con le pareti e la volta ricoperti di affreschi risale probabilmente al 1733 quando la badessa era Violante Pignatelli.
Il refettorio delle monache
Opera di Dionisio Lazzari e Matteo Stendardo tra il 1680 e il 1685, ha sulle due testate dei dipinti attribuiti alla bottega del Corenzio.
Cappella dell’Idria
Rappresenta quello che resta del convento medioevale e fu ridecorata nel Settecento.