complesso di San Domenico Maggiore, piazza san Domenico Maggiore
Preesistenze: chiesa di S. Michele Arcangelo a Morfisa del 937 e chiesa eretta dai Domenicani nel 1231 intitolata a S. Domenico
Epoca costruzione: 1283-1324 (unificando le due chiese)
Committente : Carlo II d’Angio’, che la intitolò alla Maddalena
Progetto : Masuccio I e successivamente i francesi Pierre de Chaul e Pierre d’Angicourt
1°Rifacimento: Quattrocento
Progetto : Novello di san Lucano
2° Rifacimento: Seicento
Progetto : Cosimo Fanzago
3°Rifacimento: Settecento
Progetto: Niccolò Tagliacozzi Canale (abside), D.A.Vaccaro (pavimento)
Restauro generale: metà Ottocento
Progetto: Federico Travaglini
Facciate
La facciata principale della basilica è rivolta a nord e vi si giunge dal vico San Domenico attraverso un arco che dà accesso ad un ampio cortile.
Sulla parte alta dell’arco di accesso è collocato in una lunetta un affresco raffigurante La Vergine che offre lo scapolare domenicano al beato Reginaldo della scuola di Pompeo Landulfo (seconda metà del XV secolo). Il lato interno dell’arco presenta invece un’iscrizione che testimonia la munificenza di Carlo II d’Angiò nei confronti dei frati; lo stesso sovrano è raffigurato in una statuetta di marmo posta in una nicchia nello stesso cortile.
L’ingresso principale è caratterizzato da un pronao aggiunto nel Settecento, posto prima del portale marmoreo gotico ad arco acuto e della porta lignea originali, voluti entrambi da Bartolomeo di Capua protonotario del regno angioino. In origine la facciata presentava tre ingressi, oltre al principale centrale, anche due minori ai lati poi eliminati nel corso del Cinquecento con le aggiunte delle rinascimentali cappelle dei Carafa e Muscettola ricavate nella controfacciata della basilica. Sul lato destro della facciata si innalza il campanile settecentesco mentre accanto ad esso è l’accesso al convento di San Domenico.
La facciata sud della basilica (ma in realtà si tratta dell’abside) prospiciente la piazza San Domenico, presenta altri due ingressi di cui il più visibile e utilizzato è posto sulla grande scalinata sul lato occidentale, voluta da Alfonso I d’Aragona per la chiesetta romanica preesistente di San Michele Arcangelo a Morfisa, e che conduce al transetto destro della basilica; il portale gotico-rinascimentale che decora quest’ultimo accesso risale alla metà del Quattrocento.
Interno – caratteri generali
L’interno è molto vasto e presenta una pianta a croce latina suddivisa in tre navate.
Un quadro in tondo raffigurante San Domenico è esposto sulla controfacciata, opera di Tommaso De Vivo, autore anche dei tondi con Santi domenicani posti tra gli archi della navata centrale.
Il soffitto a capriate originario fu sostituito nel 1670 da quello a cassettoni e dorature, di gusto barocco; al centro è lo stemma domenicano mentre agli angoli sono collocati stemmi vicereali. In corrispondenza della quinta arcata di sinistra è il pulpito della metà del XVI secolo; il pavimento risale invece ai lavori di Domenico Antonio Vaccaro, che lo rifece ex novo nel 1732.
L’aspetto generale attuale è dominato dall’impronta del restauro ottocentesco storicistico di Federico Travaglini che coprì con decorazioni neogotiche e con stucchi lucidi e dorati quelle rinascimentali e barocche e modificò alla maniera gotica dei finestroni rettangolari, accentuandone la verticalità.
Presbiterio e abside
La zona absidale, ideata da Nicola Tagliacozzi Canale, vede insistere alle spalle dell’altare maggiore la sontuosa cassa barocca dell’organo (databile 1715) che ha occupato lo spazio in cui erano collocate prima le sepolture dei re aragonesi.
L’altare maggiore, le cattedre marmoree nei pilastri e la balaustra sono opera di Cosimo Fanzago, databili al 1640-46, e i due putti laterali all’altare sono opera di Lorenzo Vaccaro, che li eseguì nel 1695.
Ai lati della balaustra marmorea del Fanzago, sono collocati due leoni trecenteschi con vicino a quello di sinistra, un gruppo di tre Virtù che fungendo da cariatidi, innalzano il candelabro del tardo Cinquecento voluto da Ferdinando di Capua del Balzo Sanseverino. Questi elementi provengono dallo smembrato monumento funebre di Filippo d’Angiò di Tino di Camaino che si trova nel transetto destro.
Dalla balaustra, infine, due scale elicoidali poste ai lati conducono alla cappella Guevara di Bovino sottostante l’abside, databile intorno alla fine del XVI secolo e su cui è l’accesso centrale della basilica che dà su piazza San Domenico.
Transetto sinistro
-In fondo al transetto tra le due cappelle è il monumentale sepolcro di Rainaldo Del Doce, prefetto del presidio militare sotto Alfonso I d’Aragona, eseguito da Tommaso Malvito e Giovanni da Nola;
-in alto è la lastra sepolcrale trecentesca di Filippo d’Angiò, principe di Taranto e Signore di Albania figlio di Carlo II d’Angiò, opera di Tino di Camaino;
-sulla parete di sinistra l’altare san Girolamo o monumento funebre di Michele Riccio, attribuito alla cerchia di Tommaso Malvito, unico resto della cappella Riccio. Il monumento consta di una mensa d’altare, con bassorilievo del Cristo, il quale risorge per metà figura con le braccia aperte, una fascia marmorea con iscrizione funebre del patrizio (m. 1515), incorniciata tra due stemmi nobiliari, indi il bassorilievo di san Girolamo nel deserto, e una lunetta, recante un’Annunciazione alla Vergine.
Transetto destro
-In fondo al centro sepolcro del 1514 di Galeazzo Pandone , che era conte di Venafro e proprietario del palazzo poi Conca in piazza Bellini e del palazzo in via Duomo ora di proprietà dell’Orientale.
– al centro più in alto è il fronte del sarcofago, opera di Tino di Camaino, di Giovanni d’Angiò, conte di Gravina e duca di Durazzo, figlio di re Carlo II lo Zoppo.
-sulla parete destra l’altare di San Girolamo sepolcro della famiglia Donnorso composto da un dossale con bassorilievo quattrocentesco assemblato in basso con un sarcofago trecentesco.
San Michele Arcangelo a Morfisa
L’antica chiesa è di fatto incorporata nella chiesa attuale in adiacenza al transetto destro e consta di due cappelle e di un vestibolo:
-La cappella di San Bonito appartenne al segretario di Ferrante I, Antonello Petrucci, il cui palazzo di famiglia è adiacente alla cappella ed alla basilica. Dopo i fatti relativi alla Congiura dei baroni, la cappella passò ai Bonito i quali chiamarono per l’occasione il carrarese Giuliano Finelli per eseguire la scultura di san Bonito presente sull’altare maggiore.
-La cappella di San Domenico conserva ancora il monumento funebre a Tommaso Brancaccio, opera di Jacopo della Pila di fine Cinquecento, e sul fondo la macchina delle Quarantore.
cappella Saluzzo, già Carafa Santa Severina (nella controfacciata)
E’ rinascimentale e presenta diversi elementi decorativi marmorei, alcuni dei quali che raffigurano lo stemma della famiglia Carafa, altri che rappresentano trofei militari, elementi vegetali ed altri celebranti le virtù della nobile famiglia partenopea, in particolare di Andrea Carafa di Santa Severina, luogotenente di Carlo V e di fatto anche il committente dell’arco rinascimentale che dà accesso alla cappella, questo scolpito dagli scultori toscani Romolo Balsimelli da Settignano e Andrea Ferrucci. A destra nella cappella la tomba di Galeotto Carafa (1513) di Romolo Balsimelli.
Cappella Brancaccio (seconda di destra)
E’ chiamata anche “cappella degli affreschi” per via delle opere a fresco che ne decorano le pareti. Prezioso scrigno della pittura giottesca nella città partenopea, si tratta di una delle più importanti della basilica, a cui lavorò il pittore romano Pietro Cavallini che operò a Napoli nel periodo in cui fu ospite remunerato di re Carlo II. Gli affreschi, commissionati dal cardinale Landolfo Brancaccio nel 1308 circa, raffigurano: Storie di San Giovanni Evangelista, una Crocifissione con la Vergine e san Giovanni dolenti e al loro fianco i santi maggiori dell’ordine domenicano, san Domenico e Pietro martire, Storie di Andrea e infine le Storie della Maddalena.
Cappellone del Crocifisso – Pantheon Carafa (sesta di destra)
E’ di fatto una delle più grandi della basilica, formando un vero e proprio ambiente a parte rispetto al complesso religioso, dentro la quale, oltre il vestibolo, sono presenti altre due cappelle. Lo spazio interno ha custodito alcune importanti opere che nel corso dei secoli sono state poi spostate in diversi importanti musei d’Europa come la tavola duecentesca della Crocifissione sull’altare, spostata nella cella di san Tommaso d’Aquino al primo piano del convento, o come quella al lato sinistro della parete frontale, dov’era una Deposizione del Colantonio poi spostata al Museo nazionale di Capodimonte. Gli affreschi sulla volta sono di Michele Ragolia mentre sulla parete frontale c’è una tavola duecentesca raffigurante una delle prime immagini di san Domenico. Sulla pareti di destra sono collocati alcuni monumenti sepolcrali ai Carafa o personaggi ad essi collegati: Mariano d’Alagno con la moglie Caterinella Orsini (di Tommaso Malvito), Diomede Carafa di Jacopo della Pila e Domenico Cagini e la tela della Resurrezione del fiammingo Wenzel Cobergher.
Sul lato sinistro del cappellone, oltre al sepolcro di Francesco Carafa, opera del Malvito, si aprono infine due cappelle finemente decorate:
-la cappella dei Carafa di Ruvo con una raffinata balaustra e affreschi e il monumento funebre rinascimentale di Ettore Carafa e dov’è collocato il pregevole presepe con statue del primo decennio del Cinquecento eseguite da Pietro Belverte.
-la cappella Del Doce (o di Santa Rosa da Lima) che conserva il sepolcro di Annibale Del Doce di Tommaso Malvito e Giovanni da Nola, e custodiva anche la famosa Madonna del Pesce di Raffaello poi confluita al Prado di Madrid.
Cappella d’Aquino (settima di destra)
La cappella è patronata dai d’Aquino già dal Trecento. L’altare risale al Seicento ed è attribuibile a Jacopo Lazzari e Antonio Galluccio. Sulla destra la tomba trecentesca di Giovanna d’Aquino prima moglie di Ruggero Sanseverino della scuola di Tino di Camaino; sul fondo del baldacchino un affresco di Madonna col Bambino attribuito al Maestro della Cappella Loffredo. Sulla parete opposta il monumento sepolcrale di altri due esponenti trecenteschi del casato, Cristoforo e Tommaso.
Una porta all’angolo della parete frontale, infine, funge da passaggio per la sacrestia.
Sacrestia
E’ un’ampia sala di forma rettangolare, decorata in forme barocche del XVIII secolo su disegno di Giovan Battista Nauclerio. Diverse sono le decorazioni rilevanti, tra queste l’affresco nella volta di Francesco Solimena, Trionfo della fede sull’eresia ad opera dei Domenicani, la pala d’altare dell’Annunciazione di Fabrizio Santafede, un pregevole pavimento marmoreo e arredi mobiliari settecenteschi.
Sul ballatoio intorno alla volta si trovano invece 45 feretri con le spoglie imbalsamate di nobili di altissimo lignaggio, per la maggior parte appartenenti alla dinastia aragonese. Questa serie di mummie è unica in Italia, non solo per l’antichità e per l’ottimo stato di conservazione dei corpi, ma anche perché si tratta di personaggi storici di primaria importanza, tra i quali spiccano i re Ferrante I e II d’Aragona, la regina consorte del secondo Giovannella d’Aragona (Giovanna IV), Isabella d’Aragona duchessa di Milano figlia di Alfonso II, Ferdinando Francesco d’Avalos, capitano generale delle truppe di Carlo V e vincitore nel 1525 della battaglia di Pavia, contro il re Francesco I di Francia, e infine Antonello Petrucci segretario di Ferrante I.
Da una porta posta a destra dell’altare maggiore si accede invece alla Sala del Tesoro, dove sono esposti gli abiti dei sovrani e dei nobili presenti nelle arche, gli oggetti sacri utilizzati durante le processioni e altre argenterie varie.
cappella di zi’ Andrea (seconda di sinistra)
Nel Seicento passò da casa Spinelli ai de’ Franchis, che le diedero l’aspetto tipico barocco. Furono chiamati per l’occasione i due scultori Andrea Malasomma e Costantino Marasi, i quali iniziarono i lavori nel 1637 e li terminarono nel 1652. Nell’altare maggiore fu collocata la tela di Caravaggio Flagellazione di Cristo, opera poi spostata nel museo di Capodimonte. Proprio in sostituzione della tela del Merisi, nel 1675 fu posta sull’altare un’opera lignea conosciuta come Madonna di Zi’ Andrea e molto venerata, che poi ha dato il nome alla cappella.
cappella del Battista o Rota (terza di sinistra)
La cappella cinquecentesca propone diverse opere pittoriche e scultoree di scuola napoletana. Infatti sono ivi presenti lavori di Girolamo D’Auria come il san Giovanni Battista, posto sulla parete frontale, e il monumento funebre del poeta Bernardino Rota, quest’ultimo eseguito con l’aiuto del fratello Giovan Domenico D’Auria e collocato sulla parete di sinistra.
CONVENTO
Notizie storiche
Oggi solo parzialmente occupato dai Domenicani, fu sede per secoli e in varie riprese dello Studio, cioè dell’Università di Napoli; vi insegnò teologia Tommaso d’Aquino e vi furono come alunni Gioviano Pontano e Giordano Bruno. Fu costruito nel XIII secolo per volere di Carlo II d’Angiò su un primo nucleo del X secolo (così come la chiesa).
Restaurato nel 2012 in rispetto alle forme dategli dall’architetto Francesco Antonio Picchiatti durante i lavori di rifacimento eseguiti verso la fine del XVII secolo, il convento si sviluppa su tre piani: a quello di terra si affacciano il Chiostro delle statue e la sala di insegnamento di san Tommaso D’Aquino, al primo, invece, la biblioteca, il refettorio, la sala del Capitolo e quella di San Tommaso, nei due superiori invece sono collocati gli ambienti privati dei frati domenicani.
I chiostri di San Domenico Maggiore in origine erano tre, tali da rendere il complesso talmente tanto esteso da arrivare fino a via San Sebastiano, quasi nei pressi di Santa Chiara. Dei tre chiostri tuttavia però solo uno è rimasto di competenza del complesso religioso: il seicentesco chiostro piccolo (o delle statue). Il chiostro di san Tommaso invece è divenuto sede di una palestra comunale mentre quello grande, che un tempo ospitava la sala in cui ha vissuto Giordano Bruno, è sede del liceo Casanova.
Sala di insegnamento di san Tommaso
Una volta entrati nell’edificio, il primo ambiente visibile a destra è l’antica sala in cui insegnava San Tommaso, oggi utilizzata ancora per alcune lezioni di teologia, caratterizzata dalla conservazione di diversi libri storici, da un pregevole pavimento maiolicato e da un affresco di Michele Ragolia nella facciata. Immediatamente fuori la sala, al lato è un’incisione che ricorda qual era il compenso dovuto al santo per le sue lezioni: un’oncia d’oro al mese.
Chiostro delle statue
Immediatamente dopo l’ambiente un corridoio conduce al piccolo chiostro delle statue, detto così per la presenza di quattro statue provenienti dalla chiesa di San Sebastiano, attraverso il quale è possibile raggiungere la monumentale scala in piperno che porta ai livelli superiori.
Al primo piano un ampio corridoio fiancheggia gli ingressi delle celle dei monaci al di sopra dei quali dei tondi affrescati del Seicento illustrano scene della vita di san Tommaso d’Aquino e in generale dei padri Domenicani.
Cella di san Tommaso d’Aquino (primo piano)
L’ingresso monumentale è caratterizzano da un mezzo busto raffigurante San Tommaso, opera di Matteo Bottiglieri, è formata da soli due ambienti, dentro i quali il santo viveva la sua vita conventuale, eseguiva i suoi ricevimenti con gli studenti e svolgeva i suoi studi liturgici. Dopo la partenza di san Tommaso, l’ambiente fu trasformato in cappella con la conseguente aggiunta marmorea del portale esterno. Sopra l’altare è posto l’originale dipinto duecentesco della Crocefissione, già nel cappellone del Crocifisso della basilica stessa, mentre al lato è una reliquia contenente un osso di Tommaso (un omero), donato al convento dai frati domenicani di Tolosa, dove san Tommaso è sepolto. Nella sala accanto invece sono infine arredi sacri, la scrivania e la sedia utilizzata dal santo, alcuni libri storici e una pagina di un’opera scritta di pugno da san Tommaso.
Refettori (primo piano)
I refettori, uno grande e uno piccolo, vennero eretti tra il 1668 ed il 1672. Nel grande refettorio oggi sostanzialmente rimangono dell’antico ambiente i due affreschi posti nelle pareti di fondo. In quella anteriore è presente un’opera eseguita negli elementi prospettici di contorno da Arcangelo Guglielmelli, mentre nell’Ultima cena posta al centro, l’attribuzione cade su Domenico Antonio Vaccaro e nell’Andata al Calvario, posta come elemento di sfondo, l’attribuzione ricade a un autore del XIX secolo. Nella controfacciata è invece presente il San Tommaso in preghiera di fronte al crocefisso firmato e datato 1727 da Antonio Rossi d’Aversa.
Sala del Capitolo (primo piano)
La sala del Capitolo è la sala del convento che meglio si è conservata ed è una delle più rilevanti tra quelle edificate nei lavori di ampliamento avviati da Tommaso Ruffo sul finire del XVII secolo. La sala è caratterizzata da pregevoli decorazioni in stucco presenti in tutte le pareti laterali eseguite da maestranze dell’ambito di Cosimo Fanzago e da decorazioni pittoriche eseguite da Michele Ragolìa durante il 1678 circa. I lavori eseguiti dal pittore siciliano furono: sulla parete di fondo, la Scena del Calvario; nella volta, quattro riquadri raffiguranti Scene della Passione di Cristo e otto scene più piccole raffiguranti invece i Misteri della Passione; infine, dieci tondi raffiguranti putti con i Simboli del martirio di Cristo.
Fonti utilizzate:
Napoli Atlante della città storica – Centro Antico di Italo Ferraro Napoli 2002, Guida Sacra della città di Napoli di Gennaro Aspreno Galante Napoli 1872, Touring Club Italiano