complesso di Santa Chiara, via Benedetto Croce
Epoca di costruzione: 1310- 1345
Committenti: Roberto d’Angiò e Sancia di Maiorca
Progetto e realizzazione: Leonardo de Vito e Gagliardo Primario
Epoca del principale rifacimento: Settecento
Progetto e realizzazione: Domenico Antonio Vaccaro, Ferdinando Sanfelice, Ferdinando Fuga.
Ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale : 1944 – 1953
Interno
L’interno è a navata unica con copertura a capriata con dieci cappelle per lato, sormontate da una tribuna continua e da bifore; il presbiterio è diviso dal coro delle Monache – sala Capitolare tramite una parete sfinestrata nella parte inferiore per consentire alle monache di clausura di seguire le funzioni liturgiche.
Nel Settecento la chiesa fu trasformata in stile barocco diventando a tre navate con volte ad arco ribassato e tutto il repertorio dell’epoca di decorazione plastiche, ma tale trasformazione fu azzerata dai danni bellici del 1943 a seguito dei quali la ricostruzione riportò l’edificio alla purezza dello stile originario.
Il pavimento marmoreo settecentesco di Ferdinando Fuga fa parte dei rifacimenti barocchi scampati ai bombardamenti alleati della Seconda guerra mondiale e presenta decorazioni lungo tutta la sua architettura con al centro il grande stemma della regina Sancia.
Controfacciata
• Sepolcro di Agnese e Clemenza Angiò Durazzo, figlie di Maria di Calabria e di Carlo Duca di Durazzo, opera di Baboccio da Piperno (1407 – 1414 ).
La cassa sepolcrale è retta da due virtù cariatidi poggianti su leoni, delle quali quella di sinistra, con due bambini in braccio, rappresenta la Carità, e quella di destra, con la pisside in mano, la Fede. Sul fronte dell’arca è scolpita in bassorilievo una scena di Compianto, animata da cinque personaggi a mezzo busto: al centro il Cristo morto, affiancato da Maria e da Giovanni evangelista, più lontani altri due santi, dei quali quella a sinistra è identificabile con Maria Maddalena; sui pilastrini ai lati della scena sono scolpiti due angeli piangenti a figura intera.
• Baldacchino del sepolcro di Antonio Penna, che era il segretario di re Ladislao Durazzo; sepolcro realizzato anch’esso da Baboccio da Piperno nel 1410 e scomposto in fase di ricostruzione della chiesa: questo è sorretto dal lato posteriore da due semicolonne e da quello anteriore da due colonne, poggianti su leoni, caratterizzate da una intricata decorazione. La relativa cassa sepolcrale è nella seconda cappella a destra.
Presbiterio
Caratterizza il presbiterio la presenza di monumenti funebri gotici della famiglia reale angioina:
• al centro campeggia la monumentale tomba di Roberto d’Angiò realizzata dai fratelli Giovanni e Pacio Bertini, purtroppo molto danneggiata dall’ultima guerra.
Al centro del presbiterio davanti al mausoleo di Roberto si trova l’altare maggiore che, ad eccezione della mensa, è ancora quello originario (1336 circa, attribuibile almeno in parte a Pacio Bertini), decorato con una serie di archetti ogivali trilobati su colonnine, inframmezzati da bassorilievi con motivi francescani, animali e vegetali.
• a destra del mausoleo di Roberto la tomba di Carlo di Calabria, figlio di Roberto ed erede al trono morto prematuramente, opera di Tino di Camaino
• ancora a destra sulla parete laterale del presbiterio la tomba di Maria di Valois, seconda moglie di Carlo di Calabria e madre di Giovanna I d’Angiò, sempre opera di Tino di Camaino.
• la tomba sul lato sinistro, invece, è di Maria di Durazzo (detta Maria di Calabria), figlia di Carlo e di Maria di Valois realizzata da uno scultore anonimo, denominato appunto Maestro Durazzesco.
Coro delle monache
Alle spalle dell’altare maggiore è situato l’ex Coro delle clarisse, ambiente dal quale le monache partecipavano alle funzioni religiose. La cappella, strutturata come una sala capitolare cistercense, è composta da tre navate, due delle quali coperte da volte a crociera. Il Coro, oggi Cappella dell’Adorazione, è uno spazio riservato alla preghiera, pertanto è visitabile solo previa prenotazione. Esso conserva l’arcosolio del Re Roberto degli scultori Giovanni e Pacio Bertini; sulle pareti, invece, resti di affreschi sulle Storie del Vecchio Testamento e dell’Apocalisse di Giotto, nonché frammenti di alcuni affreschi rinascimentali.
Seconda cappella a sinistra
La seconda cappella, dei Miracoli Antoniani, vede i sepolcri attribuiti al Maestro durazzesco di Drugo e Nicola de Merloto, nobili di origine germanica. Il primo monumento vede nella parte frontale della lastra cinque stemmi uguali del casato Merloto, in quella retrostante invece la figura di Cristo Redentore mentre nelle due facce dei lati corti sono San Francesco con la croce e il libro della regola e San Ludovico d’Angiò.
La figura di Drugo (morto nel 1339) è invece scolpita distesa sul sepolcro con abiti militari, mani incrociate e piedi poggianti su cani distesi; sopra la cassa funebre sono inoltre il gruppo della Vergine col Bambino tra due santi e la figura del defunto inginocchiato. Il secondo sepolcro è addossato alla parete destra e vede nella parte frontale la raffigurazione in bassorilievo della Vergine col Bambino con ai lati i santi Agnese e Paolo da un lato, e Caterina e Pietro dall’altro.
Terza cappella di sinistra
La terza cappella di sinistra, del Sacro Cuore di Gesù, si compone alle pareti laterali delle casse funebri trecentesche di Raimondo Cabanis, nobile di origine provenzale Gran Siniscalco di re Roberto, e del figlio Perotto Cabanis, entrambe di ignoto autore. Nella parete centrale è invece il frammento di un affresco trecentesco di anonimo giottesco raffigurante la Vergine col Bambino, con accanto una lastra tombale dov’è raffigurato in bassorilievo un uomo in armatura.
Settima cappella a sinistra
La settima cappella è rimasta intatta dai bombardamenti bellici e dunque manifesta ancora gli elementi barocchi eseguiti durante i lavori di ammodernamento del XVIII secolo; dedicata a san Francesco d’Assisi, essa ha alle pareti laterali due sarcofagi della famiglia Del Balzo, forse di scuola toscana, o comunque vicina ai fratelli Bertini, con a sinistra Raimondo ed a destra la moglie Isabella de Apia. Sulla parete frontale dell’ambiente invece è una scultura probabilmente eseguita per la basilica di San Lorenzo Maggiore di Napoli e solo successivamente spostata in Santa Chiara, raffigurante San Francesco d’Assisi, opera del 1616 di Michelangelo Naccherino, circondata da medaglioni marmorei raffiguranti altri componenti della famiglia Del Balzo di Giovanni Marco Vitale e databili intorno al primo decennio del Seicento.
Nona cappella a sinistra
La nona cappella, di Santa Maria Francesca, ospita un sarcofago romano di poco dopo la metà del II secolo d.C. decorato con bassorilievi raffiguranti il mito di Protesilao e Laodamia e riutilizzato nel 1632 come tomba di Giovan Battista Sanfelice. Sul pavimento è un marmoreo stemma nobiliare mentre nella parete centrale è un bassorilievo attribuito al Maestro durazzesco con tre nicchie entro cui sono la Vergine al centro e ai lati il Cristo e San Giovanni.
Quarta cappella a destra
La quarta e quinta cappella sono private della parete divisoria e seppur congiunte l’una con l’altra, sono intitolate la prima a san Pietro d’Alcantara e la seconda a sant’Antonio da Padova. La cappella di San Pietro ospita un dipinto attribuito a Paolo De Matteis raffigurante San Pietro d’Alcantara ed un sepolcro monumentale di ignota nobildonna di pregevole fattura attribuito ancora al Maestro Durazzesco che nella fascia frontale reca scolpita in bassorilievo la Madonna col Bambino, Santa Chiara e San Francesco, mentre sopra la cassa è posta la figura giacente di una nobildonna, seppur ritratta con indosso abiti monacali.
Settima cappella a destra
La settima cappella è del Santissimo Sacramento e vede al centro una tavola cinquecentesca della Madonna delle Grazie, di ignoto autore, mentre a sinistra è il frammento di un monumento scultoreo attribuito alla scuola dei fratelli Bertini e di cui rimane superstite la scena del Bacio di Giuda.
Cappella Borbone
La decima cappella a destra che, assieme a quella di San Francesco d’Assisi, è l’unica ad aver conservato la struttura barocca, è la cappella dei Borbone, dove riposano i Sovrani delle Due Sicilie, da Ferdinando I a Francesco II, Maria Cristina di Savoia e Filippo di Borbone, figlio di Carlo III deceduto prematuramente in età ancora giovane. Nella parete frontale è invece la tela tardo cinquecentesca dell’Incredulità di san Tommaso opera del fiorentino Girolamo Macchietti.
Madonna del cucito
Subito dopo quest’ultima cappella, si trova uno dei pochi affreschi trecenteschi della Basilica sopravvissuto ai bombardamenti della Seconda guerra mondiale: si tratta della cosiddetta “Madonna del Cucito“, con la Vergine inscritta in una grande aura luminosa a forma di mandorla, intenta a ricamare; al suo fianco è il Bambino nudo, in un atteggiamento meditabondo e che forse allude all’eucaristia portando la mano alla bocca. Sullo sfondo, sinistramente incombente e presagio della Passione, è la Croce.
Monastero
Nasce nella stessa epoca della chiesa come monastero principalmente femminile delle monache clarisse con annesso un piccolo convento di frati minori francescani. La situazione attuale si è rovesciata con il monastero principale maschile e quello secondario di clausura femminile con accesso da piazza del Gesù.
In origine il monastero comprendeva quattro chiostri: quello delle Clarisse (o maiolicato), quello di San Francesco, quello dei Frati Minori e quello di Servizio. Gli ultimi due divennero poi parte dello spazio destinato alla chiesa delle Clarisse, adiacente al complesso di Santa Chiara, a seguito del trasferimento nella struttura delle monache.
Il primo e più importante chiostro nonché vero e proprio elemento distintivo della basilica, accessibile dal cortile che si sviluppa sul fianco sinistro della basilica, è quello maiolicato delle Clarisse, progettato da Domenico Antonio Vaccaro e decorato con maioliche settecentesche di Giuseppe e Donato Massa e da affreschi seicenteschi su Santi, Allegorie e Scene dell’Antico Testamento. Il chiostro scampò ai bombardamenti bellici e risulta essere quindi una delle poche testimonianze barocche della basilica.
Monastero delle Clarisse
Il monastero delle Clarisse, infine, il cui ingresso autonomo su piazza del Gesù Nuovo è avvenuto solo dopo i restauri che hanno interessato il monastero nel secondo dopoguerra, un tempo faceva parte del monastero di Santa Chiara giacché destinat0 all’ordine dei Frati Minori, per poi passare alle clarisse ed essere dedicata ancora successivamente (nel 2007) a Gesù Redentore e San Ludovico d’Angiò, diventando quindi corpo esterno al complesso monastico. La chiesa include al suo interno, in successione, un vestibolo, una cappella, ex sala capitolare del monastero, e il coro, un tempo refettorio dei frati minori; quest’ultimo ambiente è decorato da un affresco di grandi dimensioni di Lello da Orvieto datato 1340 circa raffigurante Gesù Redentore tra santi e donatori.
Campanile
Alla sinistra della chiesa si eleva la torre campanaria trecentesca, i cui lavori furono avviati nel 1338 ma tuttavia immediatamente arrestati per problemi finanziari. Continuando i lavori agli inizi del Quattrocento, dopo il terremoto del 1456 il campanile crollò quasi del tutto, rimanendo in piedi solo il basamento in marmo; fu in seguito rialzato in stile barocco, finché non fu completato solo intorno al 1596 su progetto dell’architetto Costantino Avallone.
Esso è a pianta quadrata e si articola su tre ordini separati da cornicioni marmorei, seppur probabilmente il progetto doveva prevedere l’esecuzione di almeno cinque piani. Mentre l’ordine inferiore ha un paramento in blocchi di pietra, i due superiori sono in mattoncini con lesene marmoree, tuscaniche in quello inferiore e ioniche in quello superiore. Tra il secondo ed il terzo livello corre una trabeazione con fregi decorati con triglifi e metope con simboli liturgici francescani.
Tra il basamento ed il primo livello ci sono quattro inscrizioni angioine che ruotano su tutte le facciate del campanile e che, in grandi lettere gotiche, narrano la storia della fondazione della basilica dal 1310 al 1340, sebbene gli avvenimenti siano ordinati in senso cronologico errato, forse perché riposizionati male durante i lavori di ricostruzione quattro-cinquecenteschi.
Fonti utilizzate:
Napoli Atlante della città storica – Centro Antico di Italo Ferraro Napoli 2002, Guida Sacra della città di Napoli di Gennaro Aspreno Galante Napoli 1872, Wikipedia