piazza del Gesù Nuovo
Dal saggio di Teresa Colletta “Le piazze seicentesche a Napoli e l’iniziativa degli Ordini religiosi” si apprende la genesi di questa piazza che nasce nel Cinquecento sulla prosecuzione del Decumano inferiore in corrispondenza del palazzo del Principe di Sanseverino e del convento di Santa Chiara.
Il palazzo Sanseverino ancora oggi domina la piazza e nasce nel 1470 per opera di Novello di San Lucano e su commissione di Roberto Sanseverino Principe di Salerno: si trattava forse del più bel palazzo rinascimentale realizzato a Napoli e nel corso della sua storia fu poi, come vedremo, trasformato nella chiesa del Gesù Nuovo.
Il saggio citato argomenta che a Napoli le piazze e i larghi, tanto nel centro antico quanto nei borghi, non nascono per direttive urbanistiche dei governanti ma per autonoma scelta dei privati di creare o lasciare uno spazio libero davanti alle loro dimore, siano queste civili o religiose.
Questo è il caso di piazza del Gesù dove da una documentazione d’archivio (platea) di Santa Chiara si apprende della volontà del principe di Sanseverino di acquisire nel 1510 lo spazio antistante il suo palazzo già di proprietà di Santa Chiara per lasciarlo inedificato e spianarlo sistemandolo a piazza.
Ciò rispondeva ad un’esigenza scenografica di grandeur della famiglia in questione che si sentiva al livello dei regnanti del tempo.
La situazione è mostrata dalla veduta Lafréry del 1566 di cui si riporta appresso uno stralcio.
Dopo che l’ultimo Principe di Salerno Ferrante Sanseverino, caduto in disgrazia presso il vicereame spagnolo, venne esiliato nel 1552, il progetto della piazza non venne portato a termine e il palazzo passò di mano fino ad essere acquisito dai Gesuiti nel 1584: i Gesuiti lo avrebbero convertito nella chiesa del Gesù che attraverso varie trasformazioni e ricostruzioni è giunta fino ai nostri tempi conservando sempre il suo bel paramento a bugnato.
A questo punto (1584) fu comune volontà dei tre grandi proprietari attigui al largo, i Gesuiti stessi, le Clarisse e i Pignatelli di Monteleone di lasciare la piazza libera e inedificata per dare respiro alle rispettive dimore.
La veduta Baratta (1627) (vedi stralcio appresso) è la prima a riportare il nome di piazza del Gesù.
Questo largo finì col diventare in epoca vicereale uno snodo di collegamento tra il centro antico e le nuove espansioni toledane, per cui la mano pubblica decise di collocarvi la statua equestre del re di Spagna Filippo V e costruì in asse con questa una strada di collegamento tra il decumano e la nuova direttrice Monteoliveto – Medina.
La stampa di Cassiano da Silva (1685) (vedi appresso) mostra com’era la piazza col monumento equestre, e corregge il nome in Largo del Gesù Nuovo, per distinguerla dal Gesù Vecchio, la precedente sede dei Gesuiti.
Nella illustrazione del Parrino datata 1700 e appresso riportata il monumento non c’è più, in quanto distrutto nei moti popolari del Seicento.
Dopo la distruzione del monumento i Gesuiti vi commissionarono nel 1705 l’obelisco dedicato all’Immacolata, che fu collocato in asse visivo con la fontana di Monteoliveto che era stata realizzata nel 1668 a chiusura della omonima piazza.
La guglia, una vera macchina da festa in pietra, progettata da Giuseppe Di Fiore e Giuseppe Genuino, fu voluta dai Gesuiti per rivaleggiare con la guglia di piazza San Domenico Maggiore voluta dai Domenicani.
Nel 1768 i Gesuiti vennero espulsi dal regno di Napoli per cui la chiesa cambiò nome in Trinità Maggiore e la piazza prima diventò piazza Santa Chiara e poi anch’essa piazza Trinità Maggiore.
Appresso è riportato uno stralcio della carta Carafa (1775) con la dicitura piazza Santa Chiara e con la guglia al centro.
Appresso è riportato uno stralcio della carta Marchese (1804-1813) con la dicitura Trinità Maggiore.
Dopo alterne vicende di ritorni e nuove espulsioni i Gesuiti recuperarono la Chiesa e parte della casa Professa nel 1900: a quel punto sia la Chiesa che la piazza ripresero il nome originario di Gesù Nuovo.
Dal saggio op.cit. di Teresa Coletta e da Rileggere Napoli Nobilissima di Renato De Fusco ed.Liguori.